Faustino e Giovita, due santi guerrieri
di Andrea Alesci
Nella pala del Moretto che campeggia al entro della soasa della parrocchiale compaiono i due Santi patroni di Sarezzo in abiti militari, il cui culto giunse in Valtrompia nella prima metà del IX secolo
Fratelli e figli di una famiglia di patrizi bresciani (secondo la leggenda nati a Sarezzo), i Santi Faustino e Giovita erano cavalieri dell’ordine equestre, convertitisi al cristianesimo e vissuti nel I secolo.
Perseguitati in ogni maniera dall’imperatore Traiano e portati a Milano, Roma e Napoli per essere dileggiati, rimasero incrollabili alla fede in Cristo e sotto l’imperatore Adriano furono ricondotti a Brescia per essere decapitati tra l’anno 120 e 140 d.C. nella giornata del 15 febbraio.
In veste di cavalieri sembra siano apparsi sulle mura cittadine a sostenere i bresciani nella strenua difesa che portò a respingere definitivamente l’assedio dei milanesi il 13 dicembre 1438. La liberazione venne celebrata con processioni e cerimonie religiose, e pare che proprio durante i festeggiamenti si fosse diffusa la notizia che sullo spalto del Roverotto (vicino all’attuale porta Venezia) fossero apparsi i due Santi fratelli e patroni di Brescia “con armi d’oro e splendidi nell’aspetto, a fermare le cannonate nemiche e a creare spavento e terrore fra le truppe degli assedianti”.
Due santi vestiti da guerrieri, così ricordati nella pala del Moretto che campeggia al centro della soasa dentro la parrocchiale di Sarezzo. Nel cuore della Valtrompia, dove il culto dei due santi giunse nella prima metà del IX secolo grazie al Capitolo della Cattedrale e dei benedettini del monastero di San Faustino (che in valle contavano numerosi possedimenti fondiari).
Sarezzo, che da lunghissimo tempo dedica loro una fiera speciale, come ricorda lo storico Roberto Simoni: “Nel capitolo 88 delle ‘Provisioni della Spetabil Comunità di Sarezzo’ risalente al 1676 si stabilisce addirittura che ‘nella festa dei SS. Martiri Fausto et Giovita, Protettori e Tutelari di Sarezzo’ nessun abitante del comune potesse ‘recarsi alli Molini per macinar biave di sorte alcuna sotto pena di soldi, dieci planeti per ogni persona’, a testimonianza della ricchezza che la fiera ebbe già all’epoca”.